Con la sentenza n. 29586 del 7 luglio 2014, la Corte di Cassazione si è espressa in merito al fallimento procurato con l’accumulazione di debiti previdenziali ed assistenziali, il quale, se doloso, rientra nel reato di bancarotta fraudolenta.
La fattispecie in commento riguarda la condanna di alcuni imprenditori in ordine al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale impropria e documentale; nello specifico gli stesso nella qualità di amministratore anche di fatto e di membro del consiglio di amministrazione della società dichiarata fallita, è stato addebitato di avere cagionato il fallimento della società con operazioni dolose, omettendo sistematicamente di versare i contributi previdenziali e assistenziali ed altre voci retributive e accumulando un debito di circa due milioni di euro e di aver falsamente esposto in bilancio crediti inesistenti.
Nel caso di specie, il mancato pagamento era l’effetto dello stato di insolvenza della società e non era stato registrato alcun reimpiego delle risorse sottratte al pagamento stesso e l’importo indicato nel capo d’imputazione era stato determinato anche da interessi di mora e da sanzioni.
La suprema Corte ha sottolineato che la nozione di operazioni dolose di cui all’art 223 comma 2 n. 2 del RD 16 marzo 1942 n. 267, corrisponde al comportamento degli amministratori che cagionino il fallimento con abusi o infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta, ovvero con atti intrinsecamente pericolosi per la “salute” economico-finanziaria della impresa, pertanto non deve necessariamente trattarsi di fatti in sé costituenti reato ma di qualsiasi comportamento del titolare del potere sociale che, concretandosi in un abuso o in infedeltà delle funzioni o nella violazione dei doveri derivante dalla sua qualità, cagioni lo stato di decozione al quale consegua il fallimento.
È stato inoltre precisato che è sempre necessario, per l’integrazione della fattispecie e l’imputazione del reato, che dal comportamento abusivo, infedele o illegittimo del titolare del potere sociale, si provi esser derivato un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l’impresa, da porre in relazione causale col fallimento.
La sentenza in commento chiarisce che le operazioni dolose che hanno cagionato il fallimento devono sempre comportare un’indebita diminuzione dell’attivo, rimanendo invece irrilevanti quei comportamenti che non possono essere messi in relazione diretta con l’indebolimento economico e patrimoniale dell’impresa.
Quindi il protratto omesso versamento di cifre rilevanti agli enti previdenziali e agli altri enti preposti, da parte dell’amministratore, costituisce comportamento rilevante come scelta imprenditoriale dolosa, capace di determinare uno stato di gravissima e irrevocabile esposizione debitoria della società, tale da comportare, a sua volta, la dichiarazione di fallimento.
E ciò tanto più quando, come nel caso di specie, la condotta accertata non è stata soltanto quella dell’omesso versamento di contributi e ritenute, ma anche del mancato accantonamento delle somme necessarie e soprattutto della falsa predisposizione di bilanci positivi a fronte, come sì attesta in sentenza e non si contesta da parte della difesa, di una situazione reale assolutamente negativa.