Aspettativa non retribuita per malattia: in quali casi è possibile?

In questo articolo viene trattato il tema dell’aspettativa non retribuita per malattia. Si tratta di una particolare tipologia di congedo di fonte contrattuale – previsto dunque da alcuni CCNL – che permette ai lavoratori di tutelarsi dal licenziamento per superato periodo di comporto.
Per inquadrare l’argomento occorre, in primis, capire cosa sia l’aspettativa e cosa s’intende con il termine “periodo di comporto”, per arrivare poi ad analizzare il particolare caso dell’aspettativa non retribuita per malattia.

Cos’è l’aspettativa

L’aspettativa è un periodo in cui il rapporto di lavoro risulta “congelato” e quindi cessa di produrre i suoi effetti. In particolare, durante l’aspettativa il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro senza percepire la relativa retribuzione.
L’aspettativa non retribuita per motivi personali viene disciplinata dalla maggior parte dei contratti collettivi nazionali di lavoro che ne stabiliscono durata, casistiche di concessione, modalità di richiesta e fruizione, sia continuativa che frazionata.
Il datore di lavoro ha anche la facoltà di concedere un’aspettativa non retribuita per cause diverse da quelle previste dalla contrattazione collettiva o dalla legge (si tratterebbe in questo caso di un trattamento di miglior favore nei confronti del lavoratore richiedente).
In questo caso, è opportuno procedere con la sottoscrizione di un accordo in cui si prevedano i principali elementi che caratterizzano l’aspettativa, tra cui la durata e il fatto che questa non sarà retribuita.
Tra le ipotesi ritroviamo l’aspettativa non retribuita di cui il dipendente può eventualmente usufruire.

Cos’è il periodo di comporto?

Quando il lavoratore è in malattia – cioè quando subisce un’alterazione dello stato psicofisico che gli impedisce di svolgere la prestazione – il datore di lavoro non può licenziarlo per un periodo di tempo che si chiama “periodo di comporto”.
Fatte salve le disposizioni più favorevoli contenute nei contratti collettivi, la legge regolamenta il periodo di comporto solo per gli impiegati, con durata diversa a seconda dell’anzianità di servizio del lavoratore (art. 6 RDL 1825/24):

  • 3 mesi per un’anzianità inferiore a 10 anni;
  • 6 mesi per un’anzianità superiore a 10 anni.

Per gli operai, invece, è il CCNL che ne disciplina la durata.

A quale arco temporale occorre riferirsi per calcolare il comporto?

Il contratto collettivo può prevedere che l’arco temporale per il calcolo del periodo di comporto sia:

  • l’anno di calendario, cioè dal 1° gennaio al 31 dicembre;
  • l’anno solare, cioè il periodo di 365 giorni dal primo evento morboso.

Inoltre, il calcolo del periodo può essere “secco” o “per sommatoria”: nel primo caso si tiene conto solo dei giorni di assenza per l’evento morboso in corso (riferito ad un’unica e ininterrotta malattia).
Nel caso del comporto “per sommatoria” invece, si prende a riferimento un dato arco temporale all’interno del quale la somma dei periodi di malattia non deve superare un determinato limite.

Come funziona l’aspettativa non retribuita?

Con l’avvicinarsi del termine del periodo di comporto il lavoratore, se il CCNL lo prevede, può richiedere un ulteriore periodo di assenza non retribuita dal lavoro per poter continuare a stare a casa e curarsi.
Chiaramente anche in questo caso è necessario continuare a presentare i certificati medici al datore
di lavoro e l’eventuale richiesta dell’aspettativa è a carico del lavoratore.
Non c’è nessun onere di comunicazione a carico dell’azienda né dell’avvicinarsi del termine del periodo di comporto, né dell’eventuale possibilità di chiedere l’aspettativa non retribuita (Cass. 21 settembre 2011 n. 19234; Cass. 22 aprile 2008 n. 10352).
Pertanto, i limiti temporali per poter procedere al licenziamento per superamento del periodo di comporto devono essere ulteriormente dilatati, in modo da comprendere anche la durata dell’aspettativa.
Il diritto all’aspettativa deve pertanto essere esercitato alla scadenza del termine contrattuale di conservazione del posto di lavoro.
In generale i contratti subordinano l’utilizzo dell’aspettativa ad una serie di condizioni, tra le quali rientra la domanda da parte del lavoratore interessato.
Il datore di lavoro non può quindi collocare unilateralmente il dipendente in aspettativa.
Il periodo di aspettativa non può quindi essere computato nell’arco temporale del comporto, ma è un periodo neutro.
Di seguito alcuni esempi di contratti collettivi che prevedono l’aspettativa per malattia:

  • CCNL METALMECCANICA -PMI Confapi (art. 55): “resta espressamente convenuto che superati i limiti di conservazione del posto di cui sopra, il lavoratore potrà usufruire, previa richiesta scritta, di un periodo di aspettativa della durata di mesi 4, durante il quale non decorrerà retribuzione, né si avrà decorrenza di anzianità per nessun istituto.
    A fronte del protrarsi dell’assenza a causa di malattia grave e continuativa, periodicamente documentata, il lavoratore potrà usufruire, previa richiesta scritta, di un ulteriore periodo di aspettativa fino alla guarigione clinica, debitamente comprovata che consenta al lavoratore di assolvere alle precedenti mansioni e comunque di durata non superiore a complessivi 24 mesi continuativi”.
  • CCNL TERZIARIO Confcommercio (art. 192): “nei confronti dei lavoratori ammalati la conservazione del posto, fissata nel periodo massimo di giorni 180 dall’art. 186 del presente contratto, sarà prolungata, a richiesta del lavoratore, per un ulteriore periodo di aspettativa non retribuita e non superiore a 120 giorni alla condizione che siano esibiti dal lavoratore regolari certificati medici.

I lavoratori che intendano beneficiare del periodo di aspettativa di cui al precedente comma dovranno presentare richiesta a mezzo raccomandata a.r. prima della scadenza del 180° giorno di assenza per malattia e firmare espressa accettazione della suddetta condizione.
A fronte del protrarsi dell’assenza a causa di una patologia grave e continuativa che comporti terapie salvavita periodicamente documentata da specialisti del Servizio sanitario nazionale, il lavoratore potrà fruire, previa richiesta scritta, di un ulteriore periodo di aspettativa fino a guarigione clinica e comunque di durata non superiore a 12 mesi”.

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