La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25158 del 26 novembre 2014 ha ricordato che poiché la giusta causa di licenziamento è una nozione legale, il giudice non è vincolato dalle diverse previsioni del contratto collettivo, dovendosi quindi ritenere corretto l’operato del datore di lavoro che licenzia il lavoratore per assenze delle quali non aveva gli aveva fornito alcuna notizia al riguardo.
Nel caso in commento la suprema Corte ha ribadito che la contestazione dell’addebito, nel procedimento disciplinare, ai sensi dell’art. 7, primo comma, della legge n. 300 del 1970, deve avere ad oggetto i fatti ascritti al lavoratore, cioè i dati e gli aspetti essenziali del fatto materiale posto a base del provvedimento sanzionatorio, così da consentire un’adeguata difesa dell’incolpato, e ha aggiunto che la clausola contrattuale collettiva avesse carattere esemplificativo e non tassativo.
Il lavoratore non solo è rimasto assente per tre giorni senza avvertire l’azienda, ma ha protratto tale assenza ulteriormente senza fornire alcuna giustificazione, concretizzando così una grave violazione degli obblighi di diligenza su di lui gravanti.
Come anticipato poc’anzi, si ribadisce che la giusta causa di licenziamento è nozione legale e il giudice non è
vincolato dalle previsioni del contratto collettivo, di conseguenza il giudice può ritenere la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile ove tale grave inadempimento o tale grave comportamento, secondo un apprezzamento di fatto, abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra le parti.
Per contro, il giudice può escludere altresì che il comportamento del lavoratore costituisca di fatto una giusta causa, pur essendo qualificato tale dal contratto collettivo, in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato.