Con la sentenza n. 23837 del 23 novembre 2015, la Corte di Cassazione ha previsto che il demansionamento, da solo, non può comportare il riconoscimento del danno esistenziale derivante da una condotta mobbizzante del datore di lavoro, ma tale situazione deve aver inciso sulla sfera esistenziale del lavoratore.
La suprema Corte ha precisato che il danno esistenziale è legato indissolubilmente alla persona e quindi non può essere determinato secondo un sistema tabellare, necessitando di precise indicazioni che possono essere fornite solo dal soggetto danneggiato.
Di conseguenza, non è dunque sufficiente la prova della dequalifìcazione, dell’isolamento, della forzata inoperosità, dell’assegnazione a mansioni diverse ed inferiori a quelle proprie, ma è necessario dare la prova che tutto ciò, nel concreto abbia inciso in senso negativo nella sfera del lavoratore, compromettendone l’equilibrio e le abitudini di vita.
Infatti, è possibile che la lesione degli interessi relazionali non produca alcun effetto ovvero non provochi conseguenze pregiudizievoli nella sfera soggettiva del lavoratore, in quanto viene garantito l’interesse prettamente patrimoniale alla prestazione retributiva. Qualora si verifichi tale fattispecie sussiste inadempimento da parte del datore di lavoro, ma non non vi è pregiudizio e, pertanto, non esiste a da risarcire.