Con la sentenza n. 15385 del 22 luglio 2015, la Corte di Cassazione è tornata sull’interposizione illecita di manodopera.
Il caso è quello di due lavoratori posti al servizio esclusivo dell’imprenditore di destinazione, in particolare essi:
- svolgevano l’attività all’interno dello stabilimento dell’appaltante;
- svolgevano di fatto attività complementare alla produzione necessariamente da svolgersi in contemporanea con la lavorazione principale;
- erano sottoposti al potere direttivo e di controllo dell’appaltante;
- osservavano il medesimo orario di lavoro dei dipendenti dell’appaltante;
- percepivano un compenso commisurato alle ore di lavoro prestate.
La suprema Corte ha rimarcato che i suddetti lavoratori erano sottoposti al potere direttivo e di controllo dell’appaltante e che tale fattispecie è conforme alla consolidata giurisprudenza secondo cui il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro, in riferimento agli appalti “endoaziendali”, caratterizzati dall’affidamento ad un appaltatore esterno di tutte le attività, ancorché strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, opera tutte le volte in cui l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all’appaltatore, datore di lavoro, i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), senza una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo, non essendo necessario, per realizzare un’ipotesi di intermediazione vietata, che l’impresa appaltatrice sia fittizia, atteso che, una volta accertata l’estraneità dell’appaltatore all’organizzazione e direzione del prestatore di lavoro nell’esecuzione dell’appalto, rimane priva di rilievo ogni questione inerente il rischio economico e l’autonoma organizzazione del medesimo.