NOZIONE DI TRASFERTISMO: TRATTAMENTO FISCALE E CONTRIBUTIVO DEI RIMBORSI SPESE
Con la sentenza n. 16579/2018, la Corte ha ribadito la nozione di trasfertismo, ricordando che secondo l’interpretazione autentica del D.L. 22 ottobre 2016 n. 193 art. 7 quinquies, non si ha trasferimento (e quindi non si applica la disciplina dell’art. 51 c. 6 TUIR) nel caso in cui i lavoratori non svolgano fuori sede “in via continuativa” la loro prestazione ovvero non ricevano “in misura fissa” un’indennità o maggiorazione di retribuzione, in ragione delle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, a prescindere dall’effettività della trasferta e indipendentemente dal luogo ove essa si è svolta.
Di conseguenza, l’onere probatorio del datore di lavoro che invochi l’esclusione, dall’imponibile contributivo, delle erogazioni in favore dei lavoratori a titolo di rimborsi chilometrici, è assolto con la prova documentale delle stesse e spetta al giudice di merito valutarne la ricorrenza nel caso concreto.
Ne deriva che ai sensi dell’art. 51 del TUIR, in caso di rimborso analitico delle spese per trasferte o missioni fuori del territorio comunale i rimborsi di spese documentate relative al vitto, all’alloggio, al viaggio e al trasporto, nonché i rimborsi di altre spese, anche non documentabili, eventualmente sostenute dal dipendente, sempre in occasione di dette trasferte o missioni, fino a concorrenza degli importi giornalieri previsti dalla norma, non concorrono a formare il reddito.
Analogamente, i c.d. rimborsi chilometrici versati dal datore di lavoro ai dipendenti, in occasioni di trasferte fuori del territorio comunale, in quanto inerenti alle spese di viaggio da questi sostenute, devono essere documentati (con riferimento al mese di riferimento, ai chilometri percorsi nel mese, al tipo di automezzo usato dal dipendente, all’importo corrisposto a rimborso del costo chilometrico sulla base della tariffa Aci).
LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO E MANIFESTA INSUSSISTENZA DEL FATTO
Con la sentenza n. 16702/2018, la Corte di Cassazione ha asserito che, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento (ovvero l’assenza dei presupposti che legittimano il recesso) che comporta a reintegra del lavoratore, deve avere delle risultanze documentali.
In pratica la “manifesta insussistenza” deve essere chiara, evidente e facilmente verificabile sul piano probatorio.
CHIUSURA DELLA SEDE AZIENDALE: SOSPENSIONE DEL RAPPORTO PER LA LAVORATRICE AL RIENTRO DALLA MATERNITÀ
Con la sentenza n. 16147/2018, la Corte di Cassazione ha asserito che, in caso di chiusura della sede aziendale, è legittimo procedere alla sospensione dal rapporto di lavoro e dalla retribuzione (come previsto dall’art. 54 c. 4 del D.Lgs. n. 151/2001) al rientro dalla maternità della lavoratrice precedentemente impiegata presso la predetta sede.
Si rammenta altresì che non è possibile procedere al licenziamento della lavoratrice madre durante il periodo di tutela, ammissibile solo in caso di cessazione dell’intera attività azienda e non di mera chiusura di una delle sedi.