LICENZIAMENTO LAVORATRICE MADRE: SI’ PER CESSAZIONE DELL’ATTIVITÀ DELL’AZIENDA, NO PER CHIUSURA REPARTO
Con la sentenza n. 14515/2018, la Corte di Cassazione ha nuovamente asserito che il licenziamento della lavoratrice madre prima del compimento dell’anno di vita del bambino può essere legittimamente attuato solo in caso di cessazione dell’attività dell’azienda cui essa è addetta come d’altronde previsto dall’art. 54 c. 3 lettera b) del D.Lgs. n. 151/2001.
La Corte ha inoltre precisato che il divieto di licenziamento della lavoratrice madre è escluso solo nel caso di cessazione totale dell’attività aziendale, mentre si applica anche nel caso di cessazione dell’attività aziendale in un ramo o reparto (ancorché dotati di autonomia funzionale) a cui la lavoratrice era addetta.
PAGAMENTO DELLE RETRIBUZIONI PER IMPORTO INFERIORE A QUELLO DELLA BUSTA PAGA: REATO DI AUTORICICLAGGIO
Con sentenza n. 25979/2018, la Corte di Cassazione (seconda sezione penale) ha asserito che il pagamento di retribuzioni inferiori rispetto a quanto indicato in busta paga e il contestuale mancato pagamento degli straordinari configurano il reato di estorsione e quello di autoriciclaggio.
La Corte ha infatti confermato il sequestro finalizzato alla confisca in quanto gli imputati, mediante minaccia di non assunzione o di licenziamento, hanno costretto una molteplicità di lavoratori dipendenti ad accettare retribuzioni inferiori a quelle risultanti dalle buste paga e a sopportare orari superiori a quelli contrattualmente stabiliti, realizzando un ingiusto profitto destinato alla retribuzione in nero di dipendenti legati loro da particolare rapporto di fiducia.
Infatti, la Suprema Corte ha in più circostanze affermato che integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato del lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell’offerta sulla domanda, costringe i lavoratori, con la minaccia larvata di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, in particolare consentendo a sottoscrivere buste paga attestanti il pagamento di somme maggiori rispetto a quelle effettivamente versate.
LA NASPI NON È DETRAIBILE COME ALIUNDE PERCEPTUM DAL RISARCIMENTO
Con la sentenza n. 11989/2018, la Corte di Cassazione ha asserito che la NASPI non è detraibile come aliunde perceptum dal risarcimento riconosciuto al dipendente licenziato illegittimamente.
Infatti, la Corte sostiene che le somme percepite dal lavoratore a titolo di indennità di disoccupazione non possono essere detratte da quanto egli abbia ricevuto come risarcimento del danno per il mancato ripristino del rapporto di lavoro, atteso che detta indennità opera su un piano diverso dagli incrementi patrimoniali che derivano al lavoratore dall’essere stato liberato, anche se illegittimamente, dall’obbligo di prestare la sua attività.
Inoltre tali somme, essendo ripetibili dall’ente previdenziale nel caso in cui vengano meno i presupposti per la loro erogazione, non possono considerarsi definitivamente acquisiti al patrimonio del lavoratore poiché, qualora il dipendente fosse riammesso in servizio senza soluzione di continuità, e con conservazione dei diritti acquisiti e mantenimento dello status giuridico ed economico maturato, l’INPS chiederà la restituzione di quanto erogato.