Rassegna di giurisprudenza – Agg. al. 20.03.2019

PERIODO DI COMPORTO: QUANDO LE MALATTIE E GLI INFORTUNI SONO ESCLUSI DAL COMPUTO?

Con la sentenza n. 5749/2019, la Corte di Cassazione ha fornito indicazioni in merito alle casistiche in cui le malattie e gli infortuni possano essere esclusi dal computo del periodo di comporto ovvero quando vi è una diretta responsabilità del datore di lavoro.

In particolare, la Corte ha asserito che le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale, in quanto riconducibili alla generale nozione di infortunio o malattia contenuta nell’art. 2110 c.c., sono normalmente computabili nel previsto periodo di conservazione del posto, mentre, affinché l’assenza per malattia possa essere detratta dal periodo di comporto, non è sufficiente che la stessa abbia un’origine professionale, ossia meramente connessa alla prestazione lavorativa, ma è necessario che, in relazione ad essa ed alla sua genesi, sussista una responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c.


LICENZIAMENTO DEL LAVORATORE IN CONGEDO STRAORDINARIO PER ASSISTENZA A PORTATORE DI HANDICAP GRAVE

Con la sentenza n. 5425/2019, la Corte di Cassazione ha affermato che il datore di lavoro può procedere con il licenziamento del lavoratore fruente del diritto al congedo straordinario per assistenza a soggetto portatore di handicap grave ex L. n. 104/1992.

La Corte infatti sostiene che la fruizione del congedo non rende insensibile il rapporto di lavoro ai fatti estintivi previsti dalla legge ma, al più, pone questione di sospensione degli effetti di detti fatti (il recesso) fino al termine del congedo medesimo.

Il diritto alla conservazione del posto, infatti, non esprime limitazioni al legittimo potere di recesso ma è finalizzato, esclusivamente, a garantire al lavoratore un trattamento economico ed assistenziale (analogamente a quanto avviene per la malattia) per il periodo di assistenza al congiunto inabile.


INTENTO RITORSIVO DEL LICENZIAMENTO: PROVA A CARICO DEL LAVORATORE

Con la sentenza n. 1195/2019, la Corte di Cassazione ha stabilito che è il lavoratore a dover provare l’intento ritorsivo del licenziamento.

La Corte ricorda che il licenziamento per essere considerato ritorsivo deve costituire l’ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore e che il lavoratore ha l’onere di profili specifici da cui desumere l’intento ritorsivo quale motivo unico e determinante del recesso.

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