Sospensione della prestazione lavorativa nel settore edile: la contribuzione è dovuta?

Con la sentenza n. 19662 del 7 agosto 2017, la Corte di Cassazione ha asserito che, in caso di sospensione consensuale della prestazione lavorativa nel settore edile, la contribuzione risulta comunque dovuta.

Il caso è quello di un’impresa edile, la quale aveva ritenuto che per alcuni periodi non fosse maturata l’obbligazione contributiva, non avendo i dipendenti (lavoratori extracomunitari) ricevuto la retribuzione, avendo fatto ritorno nei paesi di origine, con conseguente sospensione consensuale del rapporto di lavoro.

L’INPS ha, da subito, rilevato che l’accordo tra il datore di lavoro ed il lavoratore in relazione alla sospensione del rapporto lavorativo non può comportare l’esenzione della parte datoriale dall’obbligo di rispettare il minimale contributivo previsto dalle norme e che, ai fini dell’esenzione dall’obbligo minimale contributivo in edilizia, nell’ipotesi di sospensione concordata tra le parti del rapporto di lavoro, è in ogni caso necessario che questa debba essere comunicata preventivamente agli enti previdenziali in modo da consentire gli opportuni controlli.

La Corte ha infatti confermato che in tema di contributi nel settore edile, ove l’INPS pretenda da un’impresa differenze contributive sulla retribuzione virtuale, il relativo onere probatorio è assolto mediante l’indicazione, non contestata, dell’attività edile espletata, mentre costituisce onere del datore di lavoro allegare, e provare, le ipotesi eccettuative dell’obbligo contributivo previste dalla contrattazione collettiva. Ne consegue che, ove la sospensione del rapporto derivi da una libera scelta del datore di lavoro e costituisca il risultato di un accordo tra le parti, continua a permanere intatto l’obbligo retributivo, dovendosi escludere, attesa l’assenza di una identità di “ratio” tra le situazioni considerate, la possibilità di una interpretazione estensiva.

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